Pensioni
Pensioni: il Sistema pensionistico italiano
Il sistema pensionistico pubblico in Italia è regolato a partire del 1995 dalla:
Riforma Dini, L. n. 335/1995
Assistiamo ad una progressiva unificazione della pensione di anzianità e di vecchiaia e l’implementazione del sistema contributivo.
Abolizione delle Baby Pensioni
Pensione di vecchiaia dai 57 ai 67 anni di età + 20 anni di contributi
Pensione di anzianità 57 anni di età + 40 anni di contributi
Retributivo fino a fine 1995, poi scatta il contributivo.
Riforma Amato, D. Lgs. n. 503/1992
Pensione a 65 anni per gli uomini e 55 anni per le donne + 20 anni di contributi
Sistema retributivo: 2% del reddito medio annuo degli ultimi 10 anni lavorati
Inserimento della previdenza complementare
Soppressione dell’indicizzazione
Riforma Maroni, il cosiddetto “Scalone”, L. n. 243/2004
Modifica età di accesso alla pensione di anzianità:
da 1/1/2008 a 23/12/2009 è a 60 anni di età + 35 anni di contributi
da 1/1/2010 a 23/12/2013 è a 61 anni di età + 35 anni di contributi, ovvero 40 anni di contribuzione indipendentemente dall’età
da 1/1/2014 aumento di 1 anno dell’età anagrafica sopra riportata
Nel 2011, appurata l’insostenibilità del sistema previdenziale italiano, c’è una nuova modifica del sistema pensionistico.
Si passa al sistema contributivo
Pensione anticipata con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi di contributi per le donne
Pensione di vecchiaia 66 anni e 3 mesi (dal 2018) per uomini e donne del settore pubblico e 65 anni e 3 mesi per settore privato
La legge Fornero dal 2012, pur mantenendo il maggior favore per i periodi antecedenti. Fino al 31 dicembre 2011 era richiesta la quota 96, che diventava 97 per gli autonomi. Per quota si intende la somma di età anagrafica e anzianità contributiva. I lavoratori dipendenti potevano quindi ottenere il diritto alla pensione di anzianità con almeno 61 anni di età e 35 di contributi ( 61+35=96 ) oppure con 60 e 36 ( 60+36=96 ). Per gli autonomi l’età doveva essere più alta di un anno ( 61+36 oppure 62+35 ).
Mentre il pensionamento di vecchiaia era previsto a 65 anni d’età ovvero con almeno 40 anni di contributi.
La legge Fornero ha sconvolto questi parametri portando l’età per la vecchiaia a 67 anni e l’anticipata (anzianità) a 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 e 10 mesi per le donne.
Collegati alla “speranza di vita” che ne innalzava i valori in maniera incontrollata facendo solamente riferimento all’età di sopravvivenza dei cittadini. Da quel momento si è avuta una sequela di interventi legislativi per cercare di ridurre l’impatto di queste norme con l’introduzione del riconoscimento delle attività usuranti, l’ape sociale, l’opzione donna, sino ad arrivare alla Quota 100 (62 anni e 38 di contributi) e 102 (64 anni e 38 di contributi).
Quota 100, L. n. 26/2019
Introdotta dal Governo Conte 1 porta una modifica triennale del sistema pensionistico, con un ulteriore canale di accesso alla pensione, fino al 2021:
Accesso alla pensione con 62 anni e contribuzione maggiore o uguale a 38 anni di contributi versati
Pensione di vecchiaia (66 anni e 3 mesi), non cumulabile con redditi da lavoro dipendente o autonomo
negli artt. 1, 2 e 3, modificata dalla Legge Fornero 2011 e dalla Riforma Pensioni 2020 del Governo Conte, Le riforme puntano mirano ad un progressivo controllo della spesa, al consolidamento della previdenza complementare e alla flessibilità di uscita dal mondo del lavoro.
Le gestioni pensionistiche (assicurazioni sociali obbligatorie) sono regolate da leggi speciali e controllate dallo Stato attraverso enti previdenziali (art. 38 della Costituzione). Il sistema di tutela previdenziale italiano è strutturato in due settori di riferimento:
uno destinato ai lavoratori dipendenti, pubblici e privati, autonomi e collaboratori, gestito dall’INPS in cui ora sono confluite anche le ex gestioni INPDAP ed ENPALS;
uno indirizzato alle categorie di liberi professionisti, gestito dagli enti previdenziali di diritto privato.
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